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Chignolo d'isola - Villag. Hare Krishna (BG)
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Il dovere

dharma

Il termine 'dovere', è una brutta parola?

Le idee del filosofo occidentale Kant si avvicinano al concetto di dharma.

di Satyaraja Dasa

Per qualcuno dovere è una brutta parola – noi vogliamo fare quello che decidiamo di fare. Fine. All’inferno il dovere. Esaminiamo il problema con maggiore serietà: che cos’è il dovere? Dovrei preoccuparmene? Evidentemente, dovere significa cose diverse a seconda delle persone e tuttavia è frequente chiederci: Che cosa dovrei fare? C’è una ragione per cui sono stato messo su questa Terra?

Dovere è una parola riferita in modo impreciso a qualsiasi azione o serie di azioni, considerate moralmente necessarie, indipendentemente da quello che piace o non piace a livello personale. Dal punto di vista religioso il dovere ultimo è verso Dio e il nostro prossimo.

Immanuel Kant (1724-1804) fu uno dei molti filosofi occidentali che hanno scritto sul tema del dovere. Egli chiamò il suo sistema di pensiero “deontologia”, che letteralmente significa “lo studio del dovere”. Una delle implicazioni più importanti della deontologia è che il comportamento di una persona può essere sbagliato anche se dà un risultato positivo e un’azione può essere virtuosa anche se ne dà uno negativo. In contrasto con il conseguenzialismo, una filosofia che afferma “il fine giustifica i mezzi”, la deontologia stabilisce che il modo in cui una persona ottiene un risultato in generale è altrettanto importante di quale sia il risultato stesso.

Nei sistemi morali basati sulla deontologia dobbiamo comprendere quali sono i nostri doveri morali e quali le norme fatte per regolare questi doveri. Quando seguiamo il nostro dovere, allora ci stiamo comportando in modo morale. Quando non lo facciamo, ci comportiamo immoralmente. In genere Kant accetta che i nostri doveri, le nostre regole ed i nostri obblighi siano determinati da Dio. Essere morali allora è una questione di obbedienza alle leggi di Dio, sebbene in alcuni casi le persone abbiano un senso innato del bene e del male indipendente dalla loro fede in Dio.

Queste idee corrispondono al concetto di dharma, che a sua volta mette in evidenza vari tipi di dovere. La letteratura vedica ci dice che abbiamo due tipi di dovere datici da Dio: doveri temporanei relativi al corpo (varnasrama –dharma) e doveri eterni che nascono dalla nostra innata natura di esseri spirituali eterni (sanatana-dharma). Nel bhakti-yoga il dovere è la caratteristica principale e la motivazione portante della vaidhi-bhakti o devozione regolata verso il Signore Supremo. Se eseguita in modo appropriato la vaidhi-bhakti porta alla perfezione del servizio devozionale regolato e può anche condurre alla raganuga-bhakti o devozione spontanea, che mette da parte il dovere e si manifesta come amore spontaneo per Dio. Perciò dharma – o pratica deontologica in termini occidentali – può far realizzare lo scopo ultimo della vita.

Che Cosa è Esattamente il Dharma?

La parola dharma viene dalla radice sanscrita dhri, che significa “sostenere, mantenere o portare”. Nel linguaggio comune dharma significa fede, dovere, legge divina, il modo giusto di vivere o il percorso della virtù, definizioni di cui Kant sarebbe felice. In esso però c’è più di questo. La parola derivata dhru o dhruva, che significa “appoggio”, implica l’equilibrio degli estremi per mezzo di un asse.

Dharma pertanto si riferisce a quel qualcosa d’invariabile al centro dell’esistenza che regola il cambiamento senza parteciparvi, rimanendo costante. In definitiva dharma è il principio centrale organizzatore del cosmo che sostiene e mantiene tutte le forme di esistenza. Sebbene la parola dharma a volte venga definita come “religione”, Prabhupada fece rilevare l’errore di questa traduzione. “Religione “ comporta una fede personale che può cambiare, ma dharma è la realtà interiore che fa di una cosa quella che è. Produrre miele è il dharma dell’ape, dare latte quello della mucca, splendere quello del sole e scorrere quello del fiume. Dharma è l’essenza di una cosa.

Il Varnasrama-dharma

Sebbene il sanatana-dharma (“dovere eterno”) di ogni essere vivente sia il servizio a Dio, nel mondo materiale questo servizio si manifesta in una varietà di modi secondo la conformazione psicologica della persona. Esso viene chiamato sva-dharma o dovere personale basato sulle peculiari inclinazioni e sul tipo di corpo. È chiamato anche varnasrama-dharma.

L’articolazione più nota del sistema del varnasrama (o quantomeno del varna o dovere sociale che ne è parte) si trova nella Bhagavad-gita (4.13) Qui Sri Krishna dice di aver creato la società umana con quattro classi sociali naturali o varna. Inoltre Egli insegna che gli specifici doveri religiosi prescritti per ogni classe sociale consentono l’applicazione più efficace degli eterni principi religiosi nel mondo materiale.

Gli ordini sociali sono:

(1) i brahmana: intellettuali e sacerdoti;

(2) gli ksatriya: politici, amministratori e guerrieri;

(3) i vaisya: agricoltori, commercianti e banchieri e

(4) i sudra: operai e artigiani.

Sri Krishna dice che ogni persona trova la sua naturale posizione in una di queste classi basate sulle occupazioni, in linea con le sue qualifiche e le sue attività. Si deve sottolineare che questo sistema in origine era basato sulle attitudini vocazionali e sulle inclinazioni e non sulla nascita.

Quello di cui parliamo qui sono tipi di personalità. Il brahmana per esempio ha una natura sacerdotale, contemplativa e incline allo studio. È attratto dalla virtù ed è gentile e pulito. La sua visione si concentra verso l’alto, verso una realtà più elevata. Lo ksatriya invece è portato ad essere cortese, cavalleresco e i suoi interessi in generale sono più “di questo mondo” di quelli del brahmana. Tende all’azione e il suo potere d’analisi è acuto. La sua caratteristica naturale è la nobiltà, a parte quando le sue passioni prendono il sopravvento su di lui. La sua attenzione si concentra principalmente sul portare a termine le cose, ma con onore, virtù e integrità.

Il vaisya, da parte sua, tende ad essere legato ai valori materiali perché la sua vita ruota intorno al denaro. Sicurezza, prosperità e stabilità economica sono le sue motivazioni profonde e gli è difficile vedere al di là di queste. Se la visione del vaisya è in qualche modo limitata, quella del sudra è ancor più compromessa. Costui si sente a suo agio solo quando lavora duramente in un impegno fisico. La sua natura è quella di assistente, non generalmente incline ad idee originali. La sua vita si svolge intorno alla sua attività fisica e ai piaceri del corpo più immediati; preferisce pensieri di routine anziché d’innovazione.

Com’è evidente a questo punto, queste classificazioni possono essere applicate a tutti gli esseri umani e non solo agli Indù. Ogni persona ha una naturale inclinazione verso un particolare tipo d’impegno e tutti gli sforzi trovano posto in una di queste grandi categorie. Quindi il sistema sociale originale enunciato nella Bhagavad-gita è valido per tutti o quantomeno riguarda naturalmente la vita di tutti. Esso è pertanto una componente del sanatana-dharma o occupazione eterna di ogni anima.

Gli asrama, ovvero la seconda parte del sistema del varnasrama, rappresentano un sistema spirituale a quattro livelli in cui una persona è prima di tutto uno studente (brahmacari), poi si sposa (grihastha) ed infine si ritira (vanaprastha) e rinuncia a tutto (sannyasa) in preparazione della morte. In molti modi questi asrama come tali possono non sembrare livelli spirituali. Anzi possono apparire come fasi comuni della vita che si realizzano col passare del tempo e in verità lo sono. Come gli ordini sociali enunciati da Krishna, i quattro ordini spirituali possono essere trovati più o meno nelle diverse culture umane di tutto il mondo. In tutte le civiltà ci sono persone religiose che praticano il celibato, persone sposate che vogliono conseguire valori spirituali più elevati, persone che vengono alle prese con la vecchiaia e l’importanza della rinuncia e persone che consapevoli dell’inevitabilità della morte fanno voto di dedicare il resto dei loro giorni a perseguire la coscienza di Dio e a condividerla con gli altri.

Comunque ciò che è unico nelle Scritture vediche e nei loro corollari è che in esse si trovano la guida e i modelli di comportamento appropriati per ciascuno dei quattro asrama e questi aiutano la persona ad evolvere spiritualmente. Il progresso di un individuo sul cammino spirituale può essere comprovato dai diversi percorsi comportamentali che riflettono diversi livelli di coscienza, anch’essi richiamati nelle Scritture. Perciò mentre la forma base del varnasrama esiste in tutto il mondo, i devoti coscienti di Krishna insegnano che questo sistema contenuto nella letteratura vedica offre un metodo strutturato per ottenere la perfezione spirituale.

Il Sanatana-dharma

Come ho già detto, il dharma fa riferimento a quell’attività o funzione che non può essere cambiata. Il calore e la luce per esempio sono il dharma del fuoco; senza calore e senza luce il fuoco non ha significato. Il dharma dell’anima è servire Dio. Più precisamente questo è il nostro sanatana-dharma o la nostra eterna funzione indipendentemente da quale corpo abitiamo. Nella coscienza materiale perdiamo di vista il nostro naturale sanatana-dharma e c’impegniamo in attività non naturali in relazione al corpo. La nostra natura spirituale originale di anime si addormenta, sostituita temporaneamente da una natura deformata, quella dell’identificazione con il corpo, con le sue sofferenze e i suoi piaceri.

Il sanatana-dharma si ravviva solo quando l’anima si colloca in prossimità dell’elemento spirituale, come Dio Stesso (per mezzo della preghiera, del canto, dell’adorazione della Divinità e via dicendo), come le Scritture e i puri devoti del Signore. Per mezzo di questo contatto, la vera natura dell’anima si afferma di nuovo, come il ghiaccio che ritorna al suo stato naturale di liquido se esposto ai dolci raggi del sole. Questa è la spiritualità cosciente di Krishna, sia che ci si riferisca ad essa con il termine Vaisnavismo, come per millenni è stato fatto in India, sia con il suo nome più universale di sanatana-dharma.

Di Nuovo Kant

Che cosa direbbe Kant di tutto questo? Come cristiano apprezzava le prospettive teologiche e cercò di armonizzare la ragione con la fede in Dio. La grandezza di Kant però proviene da quello che egli chiamò “Imperativo Categorico”, o verità universali a cui si può dare un fondamento logico. È una specie di versione preliminare del sanatana-dharma. In aggiunta o come parte dell’Imperativo Categorico, egli voleva che i suoi lettori si ponessero la seguente domanda: “Potrei accettare un mondo in cui tutti si comportano come me?” Secondo Kant questa domanda dovrebbe guidare il nostro senso morale ed etico.

In altre parole, se io agisco in modo errato, egoistico, il mio comportamento contrasta i diritti e le libertà degli altri. Nello stesso modo se agisco in modo disinteressato tenendo conto delle altre persone e del mondo naturale che mi circonda, ciò porta ad un bene maggiore; questo è nell’interesse superiore di tutti. Come devoti di Krishna troviamo che l’ipotesi fondamentale di Kant costituisce un buon modo di ragionare: riconosciamo i benefici di una vita disinteressata in coscienza di Dio.

Se le persone cantassero i nomi di Dio e si astenessero dal mangiare carne, dal sesso illecito, dagli intossicanti e dal gioco d’azzardo, il mondo sarebbe migliore. Se tutti accettassero i principi non settari della religione universale, sanatana-dharma, non ci sarebbero “noi e loro”, né guerre di religione né litigi basati sull’identificazione del corpo con il sé.

In generale il mondo materiale è il luogo dove le persone agiscono egoisticamente, concentrate sul loro piacere personale creando una situazione molto difficile. Un mondo in cui agiamo come goditori indipendenti, divorziati da Dio, diventa un luogo di rovina. Se lo scopo della vita è il piacere sfrenato il prossimo diventa qualcosa di cui servirsi, apprezzabile solo finché ci porta piacere.

La coscienza di Krishna afferma che il vero Imperativo Categorico è servire Dio. Sia che Lo serviamo in linea con il sanatana-dharma in un modo generale, onnicomprensivo, sia che c’impegniamo secondo le nostre predilezioni nel sistema del varnasrama, servire Dio è un dovere. È l’essenza del dharma, è il dovere più elevato. Sicuramente questa è una verità che Kant non negherebbe mai.

Satyaraja Dasa, discepolo di Srila Prabhupada, è un editore associato di BTG. Ha scritto più di venti libri sulla coscienza di Krsna e vive vicino a New York City.

Dharma: le Radici Vediche della Parola

La parola dharma è riconducibile al termine vedico ritam, da cui deriva la parola inglese right (nel senso di “giusto“). Dai Veda originali impariamo ad agire secondo le leggi universali e queste azioni sono considerate la cosa giusta da fare. Da ritam deriva anche la parola inglese ritual, che, se eseguito in modo appropriato, aveva il potere di portarci più vicini alla realtà ultima.

Le azioni considerate peccaminose dai Veda sono quelle contrarie al ritam. In sanscrito molte di esse cominciano con la lettera “m”. Per esempio, mangiare pesce (matsya), mangiare carne (mamsa), bere vino (madya), mangiare cereali non offerti (mudra) ed avere sesso non regolato (maithuna).

Secondo i saggi vedici la pratica errata di queste azioni che iniziano con “m” porta alla concezione materialistica della vita, che culmina con la morte. I saggi dell’antichità, che usano un simbolismo letterario, dicono che per coloro che sono dediti a questi comportamenti così sconvenienti, si potrebbe mettere una “m” davanti alla parola ritam, trasformandola in mritam: morte. Chiaramente, i saggi vedici erano sostenitori del fare le cose nel modo giusto, ognuno secondo il proprio dharma.

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